Per anni, la sostenibilità territoriale è stata associata al concetto di filiera corta, che lega la responsabilità d’impresa alla vicinanza geografica tra chi produce e chi acquista. Ma per molte realtà imprenditoriali radicate nei territori e al tempo stesso attive su mercati internazionali, questo approccio non è più totalmente spendibile.
Le recenti crisi globali – dalla pandemia alle tensioni geopolitiche – hanno dimostrato che la sostenibilità territoriale è legata a doppio filo alla resilienza dell’impresa: più che alla distanza, alla qualità e solidità delle relazioni di filiera, capaci di garantire continuità produttiva, ridurre i rischi e mantenere standard elevati.
L’impresa come sistema olistico
La visione olistica invita a guardare l’impresa come un sistema vivente, in cui dimensioni economiche, sociali, ambientali e di governance si intrecciano e si influenzano reciprocamente. Non più un insieme di funzioni separate, ma un organismo che genera valore proprio grazie alle connessioni tra le sue parti.
Si tratta di un approccio sempre più discusso nei modelli di management contemporaneo, vicino al pensiero sistemico e coerente con i criteri ESG. Parlare di “impresa olistica” significa riconoscere che la competitività di lungo periodo non nasce solo dall’efficienza produttiva, ma dalla capacità di mantenere in equilibrio la relazione con il territorio, la filiera e gli stakeholder globali.
In questo senso, una supply chain globale e qualificata non è in contrasto con il radicamento locale: diventa anzi la condizione per garantire stabilità, occupazione e coesione sociale.
Filiere certificate, resilienti e integrate
La sostenibilità territoriale passa dunque attraverso filiere certificate, resilienti e integrate.
- Certificate, perché la qualità e la tracciabilità sono garanzia per i clienti e per i territori che ospitano l’impresa.
- Resilienti, perché la ridondanza controllata e la diversificazione delle fonti riducono i rischi di interruzione.
- Integrate, perché lavorare in partnership con fornitori chiave – anche a livello globale – significa coordinare processi, condividere dati e ottimizzare la logistica.
A queste logiche si affiancano pratiche di sostenibilità industriale, come per esempio: consolidamento delle spedizioni per ridurre le emissioni, approvvigionamenti responsabili delle materie prime, gestione circolare degli scarti.
Dal locale al globale: un cambio di paradigma
Il passaggio dalla “filiera corta” alla “supply chain globale di qualità” segna un vero cambio di paradigma. Non è solo un’evoluzione semantica, ma un modo diverso di concepire il rapporto tra impresa e territorio.
Una filiera globale ben strutturata, infatti, rafforza l’azienda e allo stesso tempo il contesto in cui opera: la stabilità organizzativa si traduce in occupazione duratura, investimenti in formazione, sostegno a iniziative culturali e coesione sociale.
Come ricorda il sociologo Robert Putnam, il capitale sociale si fonda su fiducia, reciprocità e cooperazione: valori che diventano ancora più solidi quando un’impresa radicata localmente dimostra di essere anche un attore globale affidabile.
In questo senso, un’azienda profondamente legata al proprio territorio può diventare protagonista dello sviluppo locale proprio grazie a reti globali robuste, certificate e integrate. È questo l’equilibrio che trasforma l’impresa da semplice “estrattore di valore” a generatore di prosperità condivisa, capace di unire efficienza, resilienza e responsabilità sociale.
Questo approccio è il cuore della filosofia aziendale di TOSTI: integrare supply chain globale e radicamento territoriale in una strategia unica, per evolvere verso un modello imprenditoriale più consapevole, resiliente e capace di generare valore condiviso.
Scopri come traduciamo questa visione nel nostro Piano di sostenibilità
 
       
 
   
  